Nuova edizione - n° 21 del 1 settembre 2008
Il reato che non c'è

di Lino Buscemi

L'articolo di Angelo Miotto, pubblicato dalla rivista trimestrale "Emergency" distribuita nel giugno 2008, ha il merito di sensibilizzare l'opinione pubblica, ancorché il Parlamento, sull'importante tema dell'introduzione, nel nostro ordinamento giuridico (in particolare nel Codice Penale), del reato di tortura. Un salutare richiamo che cade a fagiolo all'interno dell'attuale contesto socio-politico che in atto sembra vivacizzato da altri argomenti di facile presa.

Quello della tortura è un argomento assai delicato, controverso, sul quale da tempo si è aperta una riflessione dottrinaria e culturale in conseguenza dell'acutizzarsi del fenomeno nella maggior parte degli stati del pianeta.

Tuttavia, da almeno 20 anni, malgrado gli sforzi compiuti, non si riesce a produrre (parlo del nostro Paese)  un atto legislativo a testimonianza dell'affermarsi di sensibilità nuove nel campo dei diritti e della intoccabilità della persona nel corpo e nella mente.

Il clima da "caccia alle streghe" che oggi si respira nel Paese  in nome della questione sicurezza, non favorisce comportamenti virtuosi e pragmatici quanto meno a livello decisionale. Anzi, non è una minoranza quella che propugna, nel governo, "irrigidimenti" normativi lesivi dei diritti di libertà, delle garanzie costituzionali e degli accordi sottoscritti dall'Italia in sede europea ed internazionale.

Non saranno, comunque, i demagogici richiami all'uso del "pugno di ferro", da parte di un manipolo di  nostalgici, a fermare il corso degli eventi volti ad introdurre elementi di civiltà giuridica nell'organizzazione statuale. Eventi, a pensarci bene, che non sembrano subire troppo la "pressione autoritaria" se in Parlamento, senza distinzione di schieramenti politici, c'è chi si è impegnato a presentare organiche proposte per trasformare la tortura in reato, con tanto di sanzioni, a difesa della dignità della persona e dei diritti umani in generale. Si dirà: ma è soltanto l'agitarsi di uno sparuto numero di parlamentari appartenenti a tutti i raggruppamenti. Meglio, comunque, del silenzio assordante che farebbe saltare definitivamente dall'agenda dei lavori ogni proposito inducendo, non solo gli osservatori più attenti, a pensare che sui diritti umani le belle parole sovrastano le concrete decisioni.

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